Mangiare agnolotti stanca

di Francesco Savio

Probabilmente non erano trascorsi molti giorni da quando era andato per una stradicciuola di campagna, tutta deserta, col tumulto in cuore, portandosi dietro una rivoltella. Per questo, quando domenica mattina ho visto a Torino il soprabito che lo conteneva, magro e pallido, stazionare immobile eppure tremante sotto la pioggia battente appena fuori la Galleria Natta, ho chiesto a Marco di accostare.
"Ciao Cesare, per prima cosa dimmi cosa ci fai qui a prendere l’acqua come un albero, e perché non fai due passi più in là in modo da ripararti sotto la Galleria, dove non piove".
"Perché sono innamorato di Pucci, Francesco, e la sto aspettando, da sei ore".
"Ma Cesare, ti pare il caso di star qui a morire? Per una che si chiama Pucci, poi? E l’intensità del tuo amore, non sarà mica diversa se aspetti al coperto?"
Pavese non rispondeva e batteva i denti, mentre era quasi mezzogiorno.
"Sicuro che l’appuntamento non fosse per le sei di sera?"

In ogni caso, in due anche un grande poeta riesci a caricarlo sull’automobile, così l’abbiamo spinto dentro, abbiamo acceso il riscaldamento fino ad asciugarlo, muovendoci con decisione lungo le vie di una Torino fredda ma provvista di sole.
"Stavi lì ancora un po’ e ti beccavi una bella pleurite, Cesare. Per una che si chiama Pucci. Poi in primavera voglio vederti a stare a casa quando i tuoi amici vanno sul Po a farsi lunghe nuotate per scacciare il tedio e il dolore della anima".

Giunti all’Albergo Roma: un piatto di agnolotti del plin, un bicchiere di vino rosso delle Langhe. Cesare si pulisce gli occhiali, fuma e sfoglia affranto o felice Tuttosport.
"Ho diciotto anni. Sono incapace, pigro, malcerto, debole, mezzo matto. Mai, mai potrò farmi una posizione stabile in ciò che si chiama la riuscita della vita. Eppure, sapete che vi dico? Che sono piemontese e allora oggi vengo allo stadio con voi, perché giocano Juventus e Novara. Mi distende i nervi guardare le partite di pallone, e se Silvio Piola dovesse confermarsi sui livelli delle ultime giornate, per la Juventus saranno dolori!"


Dentro la nuova nave grigia con righe tricolori che brilla, proviamo ad attirare l’attenzione del presidente Andrea Agnelli fumante sigaretta in cappotto blu. In un momento di sorprendente entusiasmo, agito addirittura una mano e dichiaro al vuoto:
"Presidente, sono Savio, e volevo…"
Cesare mi tira giù per un braccio. 
"Guarda che non ti sente. Siamo dalla parte opposta, e poi queste cose noi timidi non le facciamo".
Ma poi è lui ad alzarsi e a declamare in direzione di Agnelli:
"Presidente, la poesia è dappertutto! Un qualunque sentimento è poesia! E questo dono divino è l’unica cosa veramente nostra, perché la scienza è, sotto un certo aspetto, una realtà di tutti e di nessuno!"

Al terzo minuto del primo tempo ci ritrovavamo tutti quarantamila in piedi, per applaudire una bella azione che terminava con la rete di Pepe su intelligente cross rasoterra del galoppante De Ceglie. Juventus 1, Novara 0. Seduti. Poi ci saremmo alzati in altre circostanze, per occasioni clamorose sfumate sul più bello: Marchisio, Giaccherini, Pepe, Quagliarella, Del Piero. Tutti bravi a fare goal, quasi. Il volenteroso Novara, seppur privo del capitano Piola, teneva botta il possibile, sovrastato dai propri limiti tecnici, e il risultato restava così in bilico fino settantacinquesimo quando Quagliarella ritornava centravanti 364 giorni dopo l’ultima volta, girando in rete di testa un calcio d’angolo di Andrea Pirlo.

Uscendo dallo stadio con la voglia di voltarsi indietro a guardarlo ancora, Cesare preferiva proseguire da solo, a piedi:
"Grazie ragazzi, mi sono divertito. E’ stato un buon pomeriggio. Ora ritorno fuori dal Caffè-Concerto La meridiana in Galleria Natta ad aspettare quella ballerina. Ma non lo farò in eterno, e non mi ammalerò. Invece studierò e lavorerò per fare della mia vita la cosa migliore e più bella di cui sarò capace".



[Pubblicato su Quasi Rete in data 20 dicembre 2011, e qui riproposto con il consenso dell'autore]