Céline, il senzaruolo

Boccaccio era il portiere
di Silvano Calzini

L’”enfant terrible” del calcio francese. Individualista, ribelle, irascibile, razzistoide, ingestibile dentro e fuori dal campo. Per Louis-Ferdinand Céline il calcio, così come la vita, era solo un gran merdaio, per cui giocava contro tutto e contro tutti; non aveva compagni di squadra, ma solo avversari. Non c’è partita in cui non sia stato espulso e ha un record imbattibile di giornate di squalifica.

Attaccabrighe per natura, estroso come giocatore e bizzarro come uomo, era una via di mezzo tra George Best, Gigi Meroni ed Eric Cantona. Calcisticamente parlando, un rivoluzionario che ha letteralmente inventato un nuovo modo di giocare, difficile da capire per molti, ma per ogni appassionato di calcio degno di questo nome esiste un prima e un dopo Céline. Quando aveva la palla tra i piedi era un fiume in piena, torrenziale, devastante. Un senza ruolo perché giocava in tutti i ruoli. O forse in nessuno.

Nella vita di tutti i giorni aborriva le luci della ribalta e amava frequentare i perdenti e i derelitti nei bassifondi più miserabili della città, tanto da essere soprannominato il “campione dei poveri”. Dopo una serie infinita di bravate, gestacci e liti furibonde, venne radiato dal campionato francese per continui e reiterati insulti di stampo razzista. E così si ritrovò a giocare in Danimarca.

Una volta graziato, tornò in Francia e si accasò in una piccola squadra della banlieu parigina dove concluse la carriera scendendo in campo con un foulard al collo, un paio di vecchi pantaloncini tenuti su da una corda, logore maglie consunte infilate una sull’altra e un pappagallo sulla spalla.
(2012)