Bassani, libero e ferrarese

Boccaccio era il portiere
di Silvano Calzini

Nato a Ferrara. Bandiera della Spal e recordman di presenze in maglia bianco-celeste. Ha cominciato a giocare nei pulcini, per poi percorrere tutta la trafila del settore giovanile fino ad arrivare in prima squadra e diventare il giocatore simbolo della squadra estense. Aveva anche ottime doti come tennista e rimase a lungo incerto prima di optare per la carriera di calciatore.

Ha sempre giocato nel ruolo di libero. Tecnicamente completo, è stato uno dei primi difensori dai piedi buoni del calcio italiano, dal tocco di palla vellutato e dalla nitida visione di gioco. Leggerezza e naturalezza sono le doti che ne hanno fatto un grande del calcio. In campo si muoveva da leader: giocava a testa alta, non urlava, ma come un direttore d’orchestra dava indicazioni ai compagni con ampi gesti delle braccia. Anche per questo veniva chiamato “il Beckenbauer della Bassa”.

Come “kaiser Franz” nei momenti di difficoltà sapeva prendere per mano la squadra e guidare i compagni, che vedevano in lui il naturale punto di riferimento. Dotato di carisma naturale e di un aplomb anglosassone, come per Liedholm di lui si diceva che uscisse dal campo con i pantaloncini immacolati anche dai terreni più fangosi. Un leader anche fuori dal campo.

Alla vigilia delle grandi partite per trovare la giusta concentrazione e rafforzare il gruppo era solito condurre i compagni di squadra in lunghe camminate sotto i portici di Ferrara e poi verso il cimitero ebraico della città. Protagonista in campo, ma anche sulle pagine dei rotocalchi dell’epoca per la sua lunga “liaison” con l’affascinate tennista sua concittadina Micol Finzi-Contini.
(2012)

Céline, il senzaruolo

Boccaccio era il portiere
di Silvano Calzini

L’”enfant terrible” del calcio francese. Individualista, ribelle, irascibile, razzistoide, ingestibile dentro e fuori dal campo. Per Louis-Ferdinand Céline il calcio, così come la vita, era solo un gran merdaio, per cui giocava contro tutto e contro tutti; non aveva compagni di squadra, ma solo avversari. Non c’è partita in cui non sia stato espulso e ha un record imbattibile di giornate di squalifica.

Attaccabrighe per natura, estroso come giocatore e bizzarro come uomo, era una via di mezzo tra George Best, Gigi Meroni ed Eric Cantona. Calcisticamente parlando, un rivoluzionario che ha letteralmente inventato un nuovo modo di giocare, difficile da capire per molti, ma per ogni appassionato di calcio degno di questo nome esiste un prima e un dopo Céline. Quando aveva la palla tra i piedi era un fiume in piena, torrenziale, devastante. Un senza ruolo perché giocava in tutti i ruoli. O forse in nessuno.

Nella vita di tutti i giorni aborriva le luci della ribalta e amava frequentare i perdenti e i derelitti nei bassifondi più miserabili della città, tanto da essere soprannominato il “campione dei poveri”. Dopo una serie infinita di bravate, gestacci e liti furibonde, venne radiato dal campionato francese per continui e reiterati insulti di stampo razzista. E così si ritrovò a giocare in Danimarca.

Una volta graziato, tornò in Francia e si accasò in una piccola squadra della banlieu parigina dove concluse la carriera scendendo in campo con un foulard al collo, un paio di vecchi pantaloncini tenuti su da una corda, logore maglie consunte infilate una sull’altra e un pappagallo sulla spalla.
(2012)

Dino Buzzati, interno fantastico

Boccaccio era il portiere
di Silvano Calzini

Centrocampista atipico, per natura rifuggiva dalle giocate spettacolari, ma era capace di “inventare” calcio come pochi. Giocatore lineare e schematico, a prima vista dava l’idea di essere solo un ragioniere del centrocampo, ma all’improvviso tirava fuori dal cilindro magici e fantastici assist, il più delle volte non capiti dai compagni.

Approdato giovanissimo nella grande squadra nella quale poi ha svolto tutta la sua carriera, era stimato per la serietà professionale e per la esemplare correttezza in campo, ma poco amato per il suo carattere riservato. Proprio per quella sua aria ingenua e disarmata qualcuno lo aveva addirittura soprannominato “cretinetti”, ma chi se ne intendeva di calcio lo ha sempre paragonato, forse anche troppo, al leggendario Franz Kafka del Dukla Praga per il fisico asciutto e la illuminante visione di gioco. Dotato di un’eleganza naturale nei movimenti, quando calciava era capace di dare al pallone effetti straordinari, e per molti versi misteriosi.

Era inconfondibile anche per il vezzo di giocare indossando sempre una cravatta nera. Come ogni vero fuoriclasse, Buzzati aveva un’idea romantica del calcio e pensava che una partita non avesse mai fine. Forse anche per questo al triplice fischio finale dell’arbitro aveva l’abitudine di restare in campo, aspettare che spegnessero tutte le luci e scrutare l’orizzonte in attesa di non si sa bene che cosa. Amava molto i ritiri precampionato sulle Dolomiti e durante la stagione era solito andare ad allenarsi, da solo o in compagnia di qualche giovane tifosa, al cimitero Monumentale di Milano.
(2012)

Fernando Pessoa, un’immarcabile moltitudine

Boccaccio era il portiere
di Silvano Calzini

Portoghese, è unanimemente considerato il re dello smarcamento per la sua capacità di essere sfuggente, imprendibile, immarcabile per gli avversari. Winston Churchill quando lo vide giocare a Wembley nella nazionale portoghese lo definì "un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma".

Per tutta la carriera ha giocato a Lisbona, ma era talmente abile nel mimetizzarsi in campo che nessuno è mai riuscito a capire se militasse nelle fila del Benfica o dello Sporting. Poco atletico, con un fisico da abatino, era però capace di scombussolare i piani delle squadre avversarie perché non sapevi mai in quale ruolo sarebbe sceso in campo.

A volte cominciava la partita nelle vesti di un centravanti di manovra, per poi trasformarsi in una mezzala di raccordo; nel secondo tempo poi rientrava e si schierava in difesa come roccioso terzino, per poi finire l’incontro nelle vesti di guizzante ala destra. Da qui l’impossibilità di inquadrarlo dal punto di vista tecnico e tattico.

Per le sue molteplici identità di giocatore, Gianni Brera, che ne apprezzava le doti tecniche ma ne lamentava lo scarso nerbo atletico, lo aveva ribattezzato "uno, nessuno e centomila". Un vero e proprio enigma calcistico per tutti i tecnici e i giornalisti che si ritrovavano spiazzati di fronte a questo fuoriclasse. Schivo e riservato, non concedeva interviste e raramente usciva dal quartiere di Lisbona in cui viveva.

Secondo gli almanacchi ufficiali ha abbandonato l’attività agonistica da molto tempo, ma c’è chi giura di averlo visto nella stagione in corso giocare tre partite contemporaneamente con tre maglie diverse.

(2012)