Le riflessioni della domenica


Dire che Johan Cruijff giocava come un dio è solo parte della verità: quello che faceva, in realtà, era comandare le partite. Influiva sui compagni, sugli avversari, sull'arbitro, sui giornalisti, sul pubblico, sul pallone, sulle bandierine del corner e perfino sui venditori di Coca-Cola. Lo spettacolo gli apparteneva per intero. L'ho affrontato in una sola occasione indimenticabile (per me, s'intende), e sono arrivato a pensare che senza di lui la partita non sarebbe esistita.
Jorge Valdano, Il sogno di Futbolandia, p. 74

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Chissà se esiste in un'altra lingua la frase "andare nel pallone", usatissima ed efficacissima in italiano per dire di come, nel nome di una sfera, anche le teste in origine euclidianamente quadrate si fanno picassiane, di forme stravolte e di contenuti strambi o comunque particolari. Chissà se esiste un altro fenomeno che, senza bisogno di appigliarsi al sovrannaturale, abbia messo insieme, in soltanto cent'anni, così tanti avvenimenti ed accadimenti legati da fili vari ma anche talvolta dal semplice caso.
Gian Paolo Ormezzano, Il calcio in Italia: un modo di vivere,
in M. Pennacchia, Il calcio in Italia, Torino, UTET, 1999, vol. I, p. 7

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In Italia il calcio è considerato rivendicazione sociale. Metodo e merito sono totalmente disconosciuti. Conta solo il risultato. Alla base del risultato ad ogni costo ci sono maleducazione, mancanza di cultura sportiva e ignoranza.
Arrigo Sacchi, "Corriere della sera", 7 novembre 2012, p. 49

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Il modo stesso di scandire i nomi di una squadra fino a pochi anni fa era in tutto e per tutto quello della Piramide di fine Ottocento. Si scandivano i nomi dei giocatori per linee. Cioè Sarti-Burgnich-Facchetti (pausa); Bedin-Guarneri-Picchi (altra pausa); poi tutto in un solo fiato, Jair-Mazzola-Milani-Suarez-Corso. Questa metrica è stata per un secolo il piccolo modo per avvicinarsi a qualunque squadra e qualunque partita fino alla rivoluzione di Sacchi e all'affermazione definitiva del 4-4-2 con tutte le sue varianti.
Mario Sconcerti, Storia delle idee di calcio, pp. 19-20

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It seemed sure: Brazil would sweep Italy aside and qualify for the Final, where the Cup would be theirs for the taking. It did not happen. This was where Paolo Rossi came suddenly and sensationally to life; this was the game which 'should' have been the World Cup Final. The game in which Brazil's glorious midfield, put finally to the test, could not make up for the deficiencies behind and in front of it. It took only five minutes for Rossi to score, and put Brazil on the ropes. The Italians, indeed, resumed where they had left off. As in the second half of their match against Argentina, they were untypically but exuberantly committed to attack, and they scored through Rossi after only five minutes.
Brian Glanville, The story of the World Cup, London, Faber and Faber, 2010, p. 251

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Se si assiste a una partita di baseball o di calcio, e se non si è americani, nel caso del baseball, o italiani nel caso del calcio, questi sport risultano molto difficili da capire. Per cercare di scoprire come funziona uno di tali giochi, non soltanto si devono scoprire quali sono le regole, ma quali sono i significati e l’importanza di determinati tipi di comportamento: questo, in un certo senso, equivale a leggere la partita come un testo.
Clifford Geertz, L’interpretazione delle culture, intervista RAI Educational

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Adesso anche Carosio parla di incornare, rilancio, concludere, seconda battuta, parata in due tempi, intramontabile, centrocampisti, eccetera eccetera. Carosio è un po’ l’Upim della lingua italiana: e comprano tutti da lui, anche quelli che affettano disprezzo: è il nostro portavoce: un po’ ciolla, anche lui, ma tanto efficace.
Gianni Brera, Il più bel gioco del mondo, p. 64

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Si è discusso sul perché di questa nostra passione, talvolta irrazionale, per uno sport che ci consente un'esperienza religiosa indispensabile al nostro ecosistema emozionale. Ne abbiamo dedotto infine che in qualche momento della nostra infanzia avevamo percepito l'istante magico in cui un artista del pallone ottiene quel prodigio indimenticabile che verrà narrato prima dai presenti, poi da quelli che non erano presenti, per entrare infine nella memoria convenzionale  delle generazioni future.
Manuel Vázquez Montalbán, Calcio. Una religione alla ricerca del suo dio, p. 2

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La corsa e la sintassi cinetica di Johan Cruijff, inafferrabili e inaspettate - per riprendere, variata, l’immagine dell’“Angelus Novus” di Benjamin - erano come un “vento che soffia dal futuro”. Una corsa che condensa in sé non solo il vorticare euritmico degli orange, ma anche i frame sovrapposti di un’intera epoca, con tutte le sue ambiguità, liberatoria e rivoluzionaria: le masse di Woodstock, le visioni lisergiche di Kubrick da “2001: Odissea nello spazio” ad “Arancia meccanica” (non a caso nickname della squadra di Michels), le suite dei Pink Floyd che polverizzano la forma-canzone in pulviscoli emotivi alieni.
Sandro Modeo, Il Barça, p. 34

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Regolarmente ogni quattro anni il campionato mondiale di calcio si dimostra un evento che affascina centinaia di milioni di persone. Nessun altro avvenimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche elemento primordiale dell’umanità e viene da chiedersi su cosa si fondi tutto questo potere di un gioco. 
Perché è questo che s’intende in ultima analisi con il gioco: un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al Paradiso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello.
Joseph Ratzinger, Il calcio è un tentato ritorno al Paradiso, 1985

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Mentre accadevano cose come Stalingrado e Auschwitz si era continuato a inseguire la palla. La Seconda guerra mondiale prende immediatamente un altro aspetto quando si scopre, per esempio, che il 22 giugno 1941, il giorno in cui i tedeschi invasero l'Unione Sovietica, a Berlino novantamila spettatori guardarono la finale del campionato tedesco. Ma cosa avevano in testa? Mi ricorda la famosa annotazione nel diario di Kafka relativa al 2 agosto 1914: "La Germania ha dichiarato guerra alla Russia. Nuoto nel pomeriggio".
Simon Kuper, Ajax, la squadra del ghetto, p. 19

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I see that African football is heading away from flair and more toward the team. Football has changed over the years and there aren't really any playmakers anymore. It's more about tactical work. I see African countries playing more like European ones. That's the only way to become competitive. It's a pity it's at the expense of flair, because fans want to enjoy their money and see good football. If you could combine the flair with goals it would be great.
Jay-Jay Okocha
citato in J. Wilson, West African nations continue to struggle to find skillful playmakers, 2010

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Parlare e scrivere di calcio è facile a certi livelli, difficile a certi altri. La ciarla da caffé può essere banale e profonda come qualsiasi resoconto giornalistico. Personalmente, trovo che la partita di calcio sia lo spettacolo agonistico più difficile da raccontare. Quasi sempre l'obiettività è inficiata dal sentimento di parte, dalle convinzioni che altri discutono e perciò vengono difese da noi con accanimento particolare, direi solipsistico a volte.
Gianni Brera, Il più bel gioco del mondo, pp. 40-41

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Sventolano le bandiere, suonano le raganelle, i razzi, i tamburi, piovono le stelle filanti e i coriandoli: la città sparisce, la routine si dimentica, esiste soltanto il tempio. In questo spazio sacro, l'unica religione che non ha atei esibisce le proprie divinità.
Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, p. 7

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Perché un giorno s'inventò il calcio rimane un mistero. E' stata un'intuizione di calibro enorme, paragonabile alla scoperta dell'America.
Luigi Cina Bonizzoni, Il futuro di ieri, p. 11

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Non ho ancora visto la partita perfetta. Fasi di gioco e momenti del match certamente, ma neanche il Barcellona ha giocato in modo perfetto per 90 minuti. La partita perfetta la può giocare solo chi scende in campo senza avversari e quindi l'obiettivo deve essere quello di avvicinarsi alla perfezione.
Jürgen Klopp

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Il calcio di Sacchi (con la sua enfasi sul collettivo, la cooperazione, l'etica di gruppo) è molto più "socialista" di quanto non lo sia il calcio "a uomo" che divide tra "stelle" e "gregari", esalta populisticamente la "giocata" da oratorio e alla fine condona ogni scandalo con benevolenza come fosse una spezia folcloristica.
Sandro Modeo, Il Barça, p. 88

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The story of British football and the foreign challenge is the story of a vast superiority, sacrificed by stupidity, short-sightedness, and wanton insularity. It is a story of shamefully wasted talent, extraordinary complacency and infinite self-deception. Over the past forty years, Britain's finest coaches have consistently been forced abroad through neglect, where foreign countries have gladly made use of their ability. "The pupils", in the worn and superannuated phrase "have quite outstripped their masters", but only because their masters made it easy for them to do so.
Brian Glanville, Soccer Nemesis, p. 1

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Il canto VI del poema di Ulisse contiene la prima cronaca sportiva di cui si abbia memoria, là dove scrive Nausicaa dalle bianche braccia che sbaglia una specie di goal a porta vuota (mancando il passaggio all'ancella e mandando la palla a rotolare in un profondo vortice) e sveglia con un grido l'avventuroso re d'Itaca.
Antonio Ghirelli, Storia del calcio in Italia, p. 4

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Il disprezzo di molti intellettuali conservatori si fonda sulla certezza che l’idolatria del pallone è la superstizione che il popolo si merita. Posseduta dal calcio, la plebe pensa con i piedi, e ciò le si addice, e in quella goduria subalterna si realizza. L’istinto animale si impone sulla ragione umana, l’ignoranza schiaccia la Cultura e così la marmaglia ottiene ciò che vuole. In cambio, molti intellettuali di sinistra squalificano il calcio perché castra le masse e devia la loro energia rivoluzionaria. Pane e circo, circo senza pane: ipnotizzati dal pallone che esercita un fascino perverso, gli operai atrofizzano le loro coscienze e si lasciano trascinare, come pecore, dai loro nemici di classe.
Edoardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, pp. 36-37

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"Taca la bala"? Un abracadabra dal valore magico che nasconde un piccolo segreto. Tutti credono che sia un'espressione ispanica. Invece è un ibrido. Quando Helenio Herrera arrivò all'Inter, trovò diversi giocatori di origine veneta. Per loro il pallone era la "bala" e lui pensò che così si chiamasse la "pelota" in italiano. Taca la bala: attacca il pallone: una frase secca, un comando essenziale.
Fiora Gandolfi, "Il Guerin sportivo", Maggio 2013, p. 52

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The socialism I believe in is not really politics. It is a way of living. It is humanity. I believe the only way to live and to be truly successful is by collective effort, with everyone working for each other, everyone helping each other, and everyone having a share of the rewards at the end of the day. That might be asking a lot, but it's the way I see football and the way I see life.
Bill Shankly [fonte]

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The Lost Final is the subject to which every conversation about football in Holland eventually turns. Why did Holland's greatest ever team - Cruyff, van Hanegem, Neeskens, Krol et alii - fail at the final hurdle? The Total Footballers scored in the first minute, played dominating, superior possession football for twenty-five minutes and then spent the entire second half of the match attacking relentlessly. And lost. The most talented group of footballers their country - almost any country - ever produced blew it. How? Why? As Winston Churchill said in a graver context, it's a riddle wrapped in a mystery inside an enigma.
David Winner, Brilliant orange. The neurotic genius of Dutch football, pp. 85-86

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Incassati due gol, gli uruguagi non batterono ciglio e m'insegnarono un concetto tattico importante: che la sconfitta deve essere difesa a sua volta. Sembrerà paradossale: non lo è affatto: perché se applicando i tuoi schemi subisci due gol, cambiandoli per rimontare puoi trovarti ancor più a malpartito: aspettando invece che si presentino le occasioni per applicare in attacco i tuoi schemi abituali, puoi nel frattempo illudere e stancheggiare gli avversari.
Gianni Brera, I mondiali di calcio, Milano, BookTime, 2010, p. 52

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Un giorno del 1978 più di mille milioni di persone hanno guardato la finale della coppa del mondo tra Argentina e Olanda. Il che significa che circa un quarto dell'intera popolazione mondiale ha interrotto quanto stava facendo per rivolgere ogni attenzione a un campetto d'erba dell'America del Sud dove ventidue figurette vestite di colori sgargianti hanno trascorso novanta minuti a tirare calci a un pallone in una frenesia di energia e concentrazione. Se un simile avvenimento fosse stato notato dai passeggeri di un UFO, che conclusioni avrebbero potuto trarne? Il calcio, considerato obiettivamente, è una delle più strane costanti di comportamento umano della società moderna. Spinto da questa considerazione ho deciso di fare le mie indagini. E mi è subito stato chiaro che ogni centro di attività calcistica, ogni football club, è organizzato come una piccola tribù, completa di territorio tribale, anziani della tribù, stregoni, eroi: entrando nei loro domini mi sono sentito come un esploratore del passato intento a esaminare per la prima volta una vera cultura primitiva.
Desmond Morris, The soccer tribe

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Sta perdendo valore l'importanza del gol subìto, tutte le squadre migliori giocano sulla facilità di fare un gol in più. Scrivendo dall'Italia, è un rovesciamento didattico molto importante, negazione di quello che abbiamo sempre svolto da Vittorio Pozzo in qua, cioè dal meglio del nostro calcio (gli anni trenta) a oggi. Per la prima volta non contano i gol che prendiamo, ma quanti se ne segnano. E' come passare dalla poesia in rima a quella di Ungaretti e Montale, è un concetto totalmente nuovo che nessuno può dire sia migliore. Per ora è semplicemente diverso. Ma esiste.

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Fino a pochi anni fa, mio figlio giocava ancora a pallone in alcune fra le piazze più antiche della nostra città. Ora non più, è vietato, e certo giustamente vietato. Tuttavia, se prima si poteva, era perché continuava a esserci una misura, ossia una proporzione, fra quegli spazi intatti, immacolati, e i pochi ragazzi che li eleggevano a luogo di svago. E' stato bello vedere una piazza storica dove qualcuno giocava a calcio come se fosse stato a casa sua. E' stato bello assistere a un uso della città familiare e fraterno, dove il rispetto non precludeva il possesso. Si tratta di un'esperienza ormai trascorsa, opportunamente negata alle torme che hanno invaso le metropoli. Ma è stato bello aver partecipato, sia pure per un piccolo frammento, a un sentimento urbano pre-moderno.
Valerio Magrelli, Addio al calcio, Secondo tempo, 30'

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Schopenhauer ci ha spiegato che il tifoso capace di oscillare fra gli estremi della gioia e della depressione vive in schiavitù di un errore. Il severo tedesco disapprova scuotendo il capo. Ma è meglio un errore eccitante, aveva già deciso da decenni l'italiano Leopardi, della verità per cui il mondo è "solido nulla". Meglio genufletterci estatici davanti alla Tv quando Scholes segna per il Manchester e battere la testa contro il muro quando Kanu pareggia per l'Arsenal, che stare lì a fissare uno schermo vuoto. All'improvviso ci si rende conto che lo scopo di qualsiasi cultura è coltivare l'auto-inganno collettivo, garantire un incantesimo entro il cui campo possiamo vivere fino in fondo emozioni e paure in una festa di colori, spenzolare l'esca che attiverà gli "errori di grandezza".
Tim Parks, Questa pazza fede. L'Italia raccontata attraverso il calcio,
Torino, Einaudi, 2002, p. 137

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Immagino la vulcanica testa di Baggio, di Overmars, di Zidane, nel bel mezzo di una partita, bombardata da sensazioni, idee sfruttate o no, finte che nascondono le vere intenzioni, tutto in un'eccitazione che racchiude il piacere, l'orgoglio e la vanità. Come si può pensare a tutto ciò in pochi secondi? Come può questo caos mentale terminare in una giocata armonica? E' sempre stato così quando il talento ha incontrato la libertà. Per questo voglio opporre l'intuizione alla scienza sulla base di una inimicizia naturale almeno quanto quella esistente fra la libertà e il controllo. La scienza è troppo adulta per il piacere infantile del gioco ed è solita cercare una verità che sia valida per tutti; l'intuizione, al contrario, è un'esclusiva individuale. Da qui la diversità degli assi. La loro unicità.
Jorge Valdano, Il sogno di Futbolandia, p. 112

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Adesso, on the shoulders of the giants, sappiamo che in linea di tendenza la formula a zona si deve considerare "di sinistra", mentre quella a uomo va classificata "di destra". Quest'ultima infatti è conservatrice, fondata com'è sul riconoscimento dei limiti umani e sulla constatazione che è più facile distruggere che non costruire. Tu sarai il prodigioso Maradona, ma io chiamo il disinibito Gentile a premerti i glutei mentre imposti il dribbling, e se l'arbitro mostra un minimo di condiscendenza verso questo gioco maschiamente erotico la forte Argentina di Menotti, "el Flaco", viene sconfitta a dispetto del mondo e della sua presunta superiorità tecnica. La zona invece nasce dalla considerazione che il progetto, la rete organizzativa, il collettivismo, la Gestalt superano i limiti individuali. Secondo quello che confidò una volta Giovanni Sartori ai suoi attentissimi allievi, lo schema a uomo era il fare sbrigativo, a culdritto, di Fanfani, mentre la zona era il modello altamente strategico di Moro. Più tardi, e vedete come degradano le cose, a uomo si poteva definire il pragmatismo romanesco di Andreotti, a zona la quadrata progettualità tardo-ellenistica di De Mita.
Edmondo Berselli, Il più mancino dei tiri, p. 80

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Gli stadi sono pieni, ma i giovani non possono andare allo stadio. Semplicemente, non possono permettersi l'ingresso. Quando ero un ragazzo, un biglietto costava esattamente quanto quello della metropolitana per arrivare allo stadio. Adesso il biglietto per la metropolitana costa quattro sterline e un biglietto per la partita quaranta, o anche più. Per questo la maggioranza degli spettatori sono turisti o appassionati occasionali. In questo modo è difficile che la tifoseria sviluppi una forte identità, basata sul vivere quotidianamente la squadra. Oggi tutto il mondo è troppo occupato a scattare foto, applaudire o deridere gli avversari.
Nick Hornby, "Football Magazine", settembre 2013, p. 142

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Il pallone era un'altra cosa: avevo l'impressione di guadagnarmi qualche attimo di paradiso ogni volta che entravo in area e mi ritrovavo tra due disperati che si credevano macellai e assassini. Ricordo un numero 2 che poteva avere ventisei anni, con il fazzoletto legato alla fronte e la medaglietta della Vergine, che per intimorire gli attaccanti raccontava di dover scontare un omicidio nella provincia di La Pampa. Lo ricordo con un certo affetto, anche se mi ha rovinato una gamba, perché era lui a marcarmi il giorno in cui segnai il mio primo goal. Ci dava giù duro, e con tanto entusiasmo che, come il leggendario difensore Rubén Marino Navarro, lo chiamavano "Hacha Brava", l'ascia selvaggia. Giocava inamovibile nella Selecciòn del Alto Valle e in quel posto e in quegli anni erano pochi gli arbitri che avrebbero rischiato la vita per una espulsione.
Osvaldo Soriano, Pensare con i piedi, Torino, Einaudi, 1995, pp. 18-19

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Che mezzala saresti stato, Saint-Just! A metà strada tra Overath e Witschge! Ambidestro, però, e con un'ampia visione di gioco - proprio come a Fleurus o nella sghemba luce della Convenzione! - e tiri improvvisi da fuori area. Prima d'una punizione dal limite, avresti spostato la lunga chioma da dinanzi gli occhi, nel gesto codificato da Netzer, soprattutto in trasferta.
Fernando Acitelli, Il tempo si marca a uomo, p. 43

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El nefasto Presidente de la FIFA, el suizo Joseph Blatter, que aún no ha hundido del todo el fútbol pese a llevar muchos años esmerándose en ello, se reúne con estudiantes de Oxford y, con cara enrojecida y aspecto de estar muy bebido, hace una parodia sin gracia del jugador Cristiano Ronaldo (ya saben, el famoso humor suizo, que tantas aportaciones ha hecho a la historia de la risa). En vez de limitarse a contemplar su performance con indiferencia y lástima, el Real Madrid envía un comunicado de campanuda protesta, y el propio Cristiano se siente agraviado porque Blatter lo haya “militarizado” comparándolo con un comandante y lo considera un insulto a él, a su club e incluso a su país entero (Portugal, célebre por su belicosidad y sus ejércitos). Y centenares de miles de internautas y tuiteros se abalanzan a manifestar su indignación y a exigir la dimisión del aparente beodo (no que no haya otros motivos, de más peso, como llevar un Mundial a Qatar, sin ir más lejos). 
Javier Marías, Una comicidad irresistible, "El pais semanal", 17.11.2013

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Se Francis Fukuyama, anziché impegnasi a stilare improbabili e patetiche diagnosi intrise di hegelismo sul corso delle vicende umane, si fosse limitato a proiettare sul calcio il focus della sue discettazioni, avrebbe di certo regalato loro maggiore dignità interpretativa. E del resto, a confortare la nostra opinione sulle bizzarre previsioni del politologo nippo-amricano e sulla loro maggiore adeguatezza a interpretare le cose del calcio, viene in supporto una sua recente ed esilarante esternazione. Secondo la quale: "La fine della storia è soltanto rinviata". E viene spontaneo chiedergli: per nebbia, impraticabilità del campo o infortunio arbitrale?
Pippo Russo, L'invasione dell'Ultracalcio, p. 12

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Così grande, invasivo e si direbbe ubiquitario è diventato il gioco del calcio da impedire un'autentica oggettivazione e, di riflesso, una distanza critica. Uno degli autori del nostro tempo, Henrique Vila-Matas, acerrimo tifoso del Barcellona, ha dichiarato tempo fa che il calcio è una realtà autocentrata, un fenomeno auto-evidente, e che pertanto raccontarlo non è più possibile. Trattandosi di una narrazione perfettamente autonoma e unilaterale, non è un caso che due grandi cantori del calcio come Osvaldo Soriano e Eduardo Galeano guardino per lo più al passato e che al passato volentieri si rivolgano, per non essere accecati o ammutoliti, i medesimi scrittori italiani, da Carlo D'Amicis a Darwin Pastorin, da Giuseppe Culicchia al poeta Fernando Acitelli. Lo stesso giornalismo specializzato, pure in presenza di alcune notevoli eccezioni, tende alla parafrasi, cioè a chiudersi nello stretto orizzonte della disamina agonistica e della valutazione puramente tecnica. Se il calcio è divenuto una variante del Pensiero Unico, talora la più perniciosa e asfissiante, è perché si è indebolito e via via è venuto meno un pensiero critico all'altezza della sua esorbitanza.
Massimo Raffaeli, "La  Stampa", 22 luglio 2012, ora in La poetica del catenaccio, pp. 11-12

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Gli allenatori hanno quadrettato il terreno di gioco come se fosse una scacchiera e addomesticato i giocatori per trasformarli in pedine. L'unica cosa che continua a dar loro fastidio è il pallone. Cercano di eliminarlo in ogni modo ... eppur si muove. Il pallone resta l'ombelico del calcio, il suo unico asse. Mi ricordano che Garaicoechea, vignettista argentino, disegnò un allenatore che istruiva i suoi giocatori aiutandosi con una lavagna piena di croci, frecce e linee. Nel mezzo della lezione, un pallone col quale giocavano alcuni bambini per strada ruppe il vetro della finestra e fece irruzione nell'aula. Si trattava di un'unica vignetta: il vetro rotto, la lavagna col suo caotico disegno, tutti con la faccia spaventata e l'allenatore, sorpreso, che guardava l'invadente pallone e domandava: "E questo che diavolo è?".
Jorge Valdano, Il sogno di Futbolandia, pp. 191-192

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i greci raggiungevano l'estasi coi riti di Dioniso santa Caterina e i mistici del Trecento coi rapimenti nella preghiera gli anglosassoni la raggiungono col whisky noi robot dei paesi caldi del sud con le donne lui l'estasi la raggiunge solo con la Juventus cioè con la voce di Niccolò Carosio nell'attimo in cui annuncia risultato finale Juventus batte Inter o Milan o Roma o Fiorentina.
Salvatore Bruno, L'allenatore, Firenze, Vallecchi, 1963

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Nell'ambito della divisione che i francesi fecero negli anni Sessanta tra cultura e subcultura, il calcio potrebbe considerarsi come subcultura, ma allo stesso tempo implica una serie di elementi che sono culturali: la conoscenza di una materia concreta, una partecipazione individuale e sociale, un patrimonio e una coscienza rispetto a questa materia. Inoltre esiste un’attribuzione di ruoli, che implica un rito, una liturgia. Gli intellettuali più avanguardisti hanno trattato il tema da un punto di vista soggettivo, cioè trasferendovi dei valori mitologici e simbolici. Comunque sia, inizia a presentarsi un fattore curioso: fino a qualche tempo fa il legame calcio-intellettuali-società poteva essere un vincolo ludico, ironico, sarcastico o innocente, in cui si dedicava una parte dell’innocenza all'essere tifoso di una squadra di calcio. Ora però si è complicato molto, perché di fatto con la crisi di identificazione delle società attuali le squadre di calcio si sono convertite quasi in referenti politico-religiosi, e costituiscono praticamente l’unica possibilità di partecipazione di massa, di integrazione, di vincolo, anche dell’uso della violenza sociale. Per tutto questo non si tratta più di un fatto tanto innocente, come in passato.
Manuel Vázquez Montalbán, Intervista raccolta da Alessandro Gori, 1997

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La squadra che avevo io era fondata sull'esistenza del mio pallone. Come quella di Heidegger l'esistenza del mio pallone partecipava alla natura di un relitto: c'era uno sferoide spelacchiato con molti rigonfiamenti a caso, e la natta deforme sotto gli spaghi. Però era un pallone, un oggetto raro, e attorno ad esso nacque la squadra, con Piaretto centravanti, Savaio in porta, la mediana rinforzata da un paio di sgalmaroni dalla Proa, e qualche amico in ruoli secondari: il resto dei posti mettemmo a concorso.
Luigi Meneghello, Libera nos a Malo, Milano, Feltrinelli, 1963

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I've kicked a football into Mussolini's lap in Rome, and experienced the worst refereeing of my life at Milan; I've been to Switzerland, Rumania, Hungary, Czecho-Slovakia, Holland, Austria, Belgium, Finland, France, Norway, Denmark, Sweden and Yugoslavia [...]. I've been in a shipwreck, a train crash, and inches short of a plane accident ... but the worst moment of my life, and one I would not willingly go through again, was giving the Nazi salute in Berlin.
Eddie Hapgood, Football Ambassador. The Autobiography of an Arsenal Legend,
London, GCR Books, 2009, p. 17

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È un vizio? Indubbiamente è un richiamo molto forte, irresistibile, ovunque mi trovi, quale che sia il valore delle squadre, il tempo, gli impegni che mi consiglierebbero di rinunciarci. Nelle mie domeniche salta la messa, mai la partita. E onestamente parlando, oggi come oggi, non so cosa possa accadere di più importante nel resto del mondo, in quelle ore della domenica, di quanto non accada negli stadi, e che meriti di essere veduto, e vissuto. È il gusto dello spettacolo, con tutti i suoi deliri anche, che un grande spettacolo comporta. Poiché di un grande spettacolo si tratta, il più autentico della nostra epoca, lo spettacolo collettivo, ‘per tutti’, che il teatro moderno non ha saputo darci. O non abbastanza, o non ancora, decaduto il melodramma. È un’arte nuova, corale, moderna, coetanea del cinema, pensateci bene. Si chiama calcio, in Europa, e tra i popoli dell’America latina è rugby o baseball negli Stati Uniti (ma rugby e baseball, rispetto al calcio, che cosa sono, se non delle varianti in chiave di forma muscolare e di destrezza, a scapito dell’intelligenza e della fantasia?). Ora, il calciatore ha la salute dell’Apoxiòmenos, e la versatilità del poeta estemporaneo, che improvvisa sulla rima obbligata e nel giro di un’ottava. La squadra è una compagnia di undici attori, con una precisa distinzione dei ruoli, e di ciascuno di essi resterà solo il ricordo: è l’insegnamento che si tramanda, la ‘scuola’ che si perfeziona o decàde di generazione in generazione. E quello che essi recitano, non è uno spettacolo di gladiatori, non è circo, e non è sport soltanto, è il gioco di una diversa civiltà, una rappresentazione tutta scienza e tutta istinto, razionale e fantasiosa insieme, incruenta. È una nuova commedia dell’arte, appunto, con delle platee piene e con decine di migliaia di spettatori che sanno, e conoscono, e che si riconoscono. Per guitti e incolti che siano gli interpreti, il canovaccio è quello, i suggerimenti che si offrono agli spettatori sono quelli, idem l’emozione, l’entusiasmo, le ire.
Vasco Pratolini, Il calcio, in Giuochi e sports, Torino, Edizioni Radio Italiana, 1950

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Se devo vedere una partita, scelgo il campionato inglese o quello tedesco. Da noi gioca in A troppa gente che non sa stoppare, che non sa fare un lancio, che non sa difendere. È che nessuno allena più nella marcatura a uomo. È lì che si impara, poi la zona bastano due settimane a insegnarla. Un’altra cosa: che differenza c’è tra possesso palla e melina? Io non ne vedo molte. Capisco il Barcellona che il possesso lo fa ai bordi dell’area avversaria, ma gli altri?
Paolo Pulici, Intervista a Gianni Mura, “La Repubblica”, 3 marzo 2014

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Recentemente, mi hanno rivolto questa domanda: perché il calcio è di destra? Ho risposto che è la legge del risultato a rendere conservatore il calcio. Il risultato è potere. Per conservarlo, bisogna produrre risultati. Progredire, e quindi essere progressisti, vuol dire superare la gabbia del risultato. A sinistra c’è quella che io definisco l’Utopia: lavorare per un progetto e cercare di realizzarlo andando oltre le sconfitte. Purtroppo basta un palo, un rigore, una giornata storta a far morire un’Idea.
Oscar Washington Tabàrez, "Rigore", 2001

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Il calcio è diventato la più grande arma di distrazione di massa che mente umana abbia mai concepito. Attraverso i secoli, si è poi trasformato nella più grande religione laica dell’era moderna: la Fifa ha 209 chiese affiliate, l’Onu ‘soltanto’ 193. Nato borghese, in perenne bilico tra sport e gioco, rimane adrenalina e oppio. Un segno dei tempi, un sogno di tutti tempi: per questo, nonostante il marcio che lo ghermisce, non morirà mai.
Roberto Beccantini, 2013

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In un'epoca in cui è evidente la crisi delle ideologie, in cui è chiaro il ridimensionamento della militanza politica, e dove perfino gli atteggiamenti religiosi soffrono di mancanza di prospettive, il calcio è la sola grande religione praticabile. C'è in questo sport un aspetto finanziario, mediatico, pubblicitario, ma non sottovaluterei il suo lato liturgico. Se penso alla Fifa me la immagino come la chiesa del calcio. Il calcio è una religione monoteista, crede in un solo dio per volta. Non tollera il conflitto, non ammette lo scisma, vuole una sola incarnazione. Dato il proprio tempo, la figura carismatica non può che essere una. Negli anni Cinquanta dio prese le forme di Di Stefano, fu il primo a creare il modello del giocatore totale, capace di tenere insieme e ricucire il gioco dell'intera squadra. Poi fu la volta di Pelè, l'astro grandissimo degli anni Sessanta. Celestiale e immenso come nessuno, almeno fino a quando gli ressero le forze. Gli anni Settanta, che coincisero col tramonto di Pelè, videro l'esplosione di un erede straordinario: Johan Cruyff. Poi, negli anni Ottanta, è stata la volta di Maradona. E infine, questo decennio che si sta per chiudere sarà ricordato per Ronaldo, ma con lui si è entrati in una dimensione fino ad oggi sconosciuta al calcio: Ronaldo è qualcosa di più di un calciatore. E' condannato a rappresentare il calcio della postmodernità. Cioè il calcio che è insieme religione per le masse e affare multinazionale. Il concetto di divinità è molto cambiato e cambierà ancora molto in futuro.
Manuel Vázquez Montalbán, 1998

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Spogliarelli, trenini, assalti alla balaustra, gite dalla nonna, scoccar di dardi, strimpellar di violini, danze tribali, mitragliate, selfie: sarà che sto rincoglionendo, ma ho nostalgia di come esultava Gigi Riva, non proprio un chierichetto.
Roberto Beccantini, “Guerin sportivo”, marzo 2015, p. 12